Sono quattro le procedure di infrazione europea attualmente a carico dell’Italia in tema di raccolta e depurazione delle acque reflue. Una situazione che, sottolinea il Commissario Unico per la Depurazione Maurizio Giugni, vale 60 milioni di euro l’anno di sanzioni per 75 agglomerati non depurati e connessi alla prima delle procedure di infrazione, sanzioni che vengono decurtate via via che gli agglomerati stessi si adeguano alle normative europee. Al danno economico si aggiunge il danno ambientale: al momento della condanna alla multa 6 milioni di italiani scaricavano i propri reflui direttamente in mare.
Per far fronte a questa situazione sono in corso interventi in tutto il Paese. Facciamo il punto della situazione.
Come funziona una procedura di infrazione europea
Per assicurare il rispetto delle normative comunitarie in tutti i Paesi membri, la Commissione europea può intervenire attivando una procedura di infrazione. Lo può fare se uno Stato membro non comunica in tempo le misure scelte per mettere in pratica una direttiva Ue (infrazione per mancata comunicazione), perché la legislazione nazionale non è in linea con quella europea (mancato recepimento) oppure se la normativa europea non è stata messa in atto in modo corretto (applicazione errata).
La Commissione prima invia una lettera di messa in mora, concedendo allo Stato membro due mesi di tempo entro cui presentare le proprie osservazioni. Poi, in assenza di una risposta o se vengono forniti responsi non soddisfacenti, viene emesso un parere motivato con la richiesta di risolvere l’inadempimento entro una determinata scadenza. Il successivo passo della procedura di infrazione, se lo Stato membro continua a non attuare la direttiva, è l’apertura di un ricorso alla Corte europea di Giustizia, che – valutata la situazione – può emettere una sentenza per chiedere allo Stato membro adeguate misure. Se la sentenza non viene applicata, la Commissione europea può andare oltre e chiedere alla Corte sanzioni pecuniarie, con una somma che varia in base alla gravità e alla durata dell’infrazione.
La direttiva 1991/271 sulla depurazione delle acque
Per quanto riguarda il trattamento delle acque reflue urbane e le azioni per limitarne l’impatto sull’ambiente si fa riferimento alla direttiva europea 1991/271 , che delinea diversi scenari a seconda della grandezza degli insediamenti urbani e della loro collocazione. Per quelli con almeno 2.000 abitanti, dopo la raccolta dei reflui deve essere previsto un particolare trattamento, come minimo di tipo secondario, con il fine di abbattere le sostanze organiche biodegradabili, senza alterare l’ossigeno disciolto naturalmente in acqua e senza impatti negativi su flora e fauna.
Per gli insediamenti urbani con più di 10.000 abitanti che si trovano in aree sensibili, già interessate da fenomeni di eutrofizzazione (ossia la forte presenza di nitrati e fosfati che derivano ad esempio dai fertilizzanti e da alcune tipologie di detersivi), è contemplato un ulteriore trattamento di tipo terziario. L’obiettivo è ridurre in modo mirato le sostanze nutrienti a base di azoto e fosforo responsabili della crescita delle alghe e tutelare l’ecosistema naturale del corso d’acqua.
La direttiva indica che gli impianti di trattamento devono essere controllati costantemente, per verificarne la funzionalità nel tempo, e devono risultare in efficienza in tutte le normali condizioni climatiche. Sono richieste poi misure per limitare l’inquinamento dovuto alla tracimazione delle acque meteoriche in situazioni estreme, come nel caso di piogge abbondanti. Infine lo smaltimento e il riutilizzo dei fanghi di depurazione devono essere monitorati. In Italia per le norme sulla depurazione si fa inoltre riferimento al decreto legislativo 152/2006 (il testo unico sull’ambiente) e alle leggi regionali che disciplinano l’applicazione puntuale della direttiva europea.
Quali sono le procedure di infrazione dell’Unione Europa per la depurazione delle acque
Ecco quali sono, in particolare, le procedure di infrazione che sono state aperte dalla Commissione europea nei confronti l’Italia e che sono in corso attualmente a causa del mancato rispetto delle direttive comunitarie in materia di reti fognarie urbane, depurazione delle acque reflue, adeguatezza degli impianti di trattamento:
- Infrazione 2004/2034 per 75 agglomerati sopra i 15.000 abitanti equivalenti che scaricano in aree non sensibili in Abruzzo, Campania, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Puglia e Sicilia;
- infrazione 2009/2034 per 16 agglomerati maggiori di 10.000 abitanti equivalenti, che scaricano in aree sensibili in Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta e Veneto;
- Infrazione 2014/2059 per agglomerati con popolazione maggiore a 2.000 abitanti equivalenti in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto;
- infrazione 2017/2181 per 237 agglomerati con oltre 2.000 abitanti equivalenti che non dispongono di adeguati sistemi di raccolta e trattamento delle acque di scarico urbane in Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana.
Per quanto riguarda la prima procedura di infrazione sono già state emesse due sentenze della Corte di Giustizia europea, nel luglio 2022 e nel maggio 2018, con una sanzione da 30 milioni di euro a semestre. La seconda è stata oggetto di una sentenza nell’aprile 2014, mentre per la terza la sentenza è in fase istruttoria. Secondo il Blue Book 2022 il 73% delle aree urbane fuori regola si concentra nel Meridione, dove in larga parte il servizio è gestito direttamente dai Comuni.
Il Commissario unico per la depurazione
Per fronteggiare questa situazione sono arrivati sostegni economici per gli investimenti e dal 2017 in Italia è stato istituito un Commissario unico per la depurazione delle acque, che si occupa di tutti gli interventi necessari per far uscire le varie zone del Paese dai contenziosi Ue. Dal 2019, con il decreto Clima, le competenze si sono estese anche alle procedure 2014/2059 e 2017/2181, per cui sono stati previsti in totale 606 interventi in 13 regioni italiane.
Al momento la struttura commissariale, guidata da Maurizio Giugni, sta seguendo 97 interventi per un totale di tre miliardi di euro di investimento, la metà dei quali in corso oppure in fase pre-attuativa. Sono 84 gli agglomerati attualmente in fase di condanna, mentre altri – come ad esempio l’intera area fiorentina – sono diventati conformi e sono usciti dalla procedura di infrazione. Di recente il commissario unico ha anche invitato a sfruttare le opportunità offerte dal Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza , per intervenire sul “water service divide” tra Nord e Sud Italia, effetto di una grande frammentazione gestionale.
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