Ieri era navigabile, oltre che balneabile, e rappresentava una risorsa economica. Oggi il fiume Arno è la principale “via d’acqua” che garantisce l’approvvigionamento idrico del più grande impianto di potabilizzazione di Firenze. Non solo. È un importante ambiente naturale per la preservazione della biodiversità in ambito urbano. Nei secoli, il rapporto con questo corso d’acqua è stato difficile e altalenante, poiché è stato motivo di prosperità ma contemporaneamente fonte di distruzione a causa delle devastanti piene.
Dove nasce l’Arno, dove sfocia il fiume e perché si chiama così
L’Arno con i suoi 241 chilometri di percorso e un bacino di oltre 8.200 chilometri quadrati è il fiume più lungo della Toscana, il secondo dell’Italia centrale (dopo il Tevere) e l’ottavo se ampliamo lo sguardo a tutta Italia. Nonostante la sua estensione, ha un carattere relativamente torrentizio, ossia la sua portata varia notevolmente in base alle precipitazioni tra periodi di secca e piena, alcune rovinose come quella che provocò l’alluvione di Firenze nel 1966. Per questo motivo nel corso degli anni sono state realizzate molte opere per la sicurezza idraulica, come le casse di espansione nel Valdarno.
Il fiume Arno nasce sulle pendici del Monte Falterona, sull’Apennino Tosco-romagnolo a oltre 1.300 metri di altezza (il luogo della sorgente non a caso viene chiamato Capo d’Arno), scorre tra le province di Arezzo, Firenze e Pisa e infine sfocia nel Tirreno a Marina di Pisa, a Bocca d’Arno, località caratterizzata dai tipici “retoni”, colorate capanne di legno su palafitte utilizzate dai pescatori. Aspetto che fa capire come fino a pochi decenni fa il fiume fosse una vera e propria ricchezza perfino per la popolazione comune. Alla foce la portata media tocca i 110 metri cubi al secondo. Tra i principali affluenti ci sono Sieve, Bisenzio, Ombrone pistoiese, Greve, Pesa, Elsa ed Era.
Ma perché il fiume Arno si chiama così? L’origine non è del tutto certa. Già gli antichi Romani parlavano di Arnus, tuttavia il toponimo deriverebbe secondo alcuni studiosi dall’antica parola prelatina “arna”, che significherebbe “letto incavato del fiume”. Secondo altri studiosi invece l’origine dell’espressione Arno sarebbe legata alla radice indoeuropea er- oppure or- col significato di “mettere in movimento, agitare”, vista la sua analogia con altri nomi di fiumi del Nord Italia e della Francia.
Quando sul fiume Arno esistevano porti e scali
Grazie alla sua morfologia l’Arno è stato una rilevante via di trasporto fluviale, sfruttata fin dall’antichità per la navigazione sia a monte di Firenze, sia a valle. Già i Romani avevano creato degli attracchi a servizio della colonia Florentia e anche durante il Medioevo il corso d’acqua veniva solcato da imbarcazioni. Il collegamento con la costa fu potenziato a metà del XVI secolo grazie alla realizzazione del Canale dei Navicelli, che mettendo in comunicazione Pisa con il porto di Livorno permetteva alle imbarcazioni di evitare la pericolosa foce del fiume. Il nome di questo canale deriva appunto dai “navicelli”, barche a vela lunghe tra i 9 e gli 11 metri, dal fondo piatto, che trasportavano merci e persone e consentivano ai “navicellai” spostamenti pure con portate ridotte. In periodi di secca però era difficile giungere fino in città e i battelli si fermavano a una decina di chilometri da Firenze.
Tutto il percorso dell’Arno era infatti costellato di porti e scali fluviali. Vicino al centro urbano fiorentino sorgevano ad esempio quelli dell’Anchetta, di Rovezzano, di Ricorboli, di Ognissanti e di Peretola, solo per citarne alcuni. A dimostrazione di questo, nei primi anni Duemila, durante i lavori della linea 1 della tramvia in piazza Paolo Uccello, sono venuti alla luce i resti di un porto leopoldino. Qui nel XVIII secolo attraccavano le imbarcazioni cariche di carbone destinato ad alimentare il vicino gasometro di Santa Rosa. Arrivando fino ai giorni nostri, ora alcuni brevi tratti del fiume sono percorsi da imbarcazioni per fini turistici e sportivi: dai battelli elettrici per ammirare la città da un punto di vista diverso, ai canottieri, fino alle gite a bordo dei barchetti usati un tempo dai renaioli per tirare fuori la sabbia dall’Arno. C’è addirittura chi organizza rafting in gommone sulle pescaie del fiume.
Oggi è una via dell’acqua
Se in passato era una risorsa economica, sia per il trasporto di merci sia per la rena ricavata dal suo letto, adesso l’importanza del fiume è legata anche all’approvvigionamento potabile di tutta la piana. Con la realizzazione alla fine degli anni Novanta del Lago di Bilancino, il fiume Arno è diventato una sorta di autostrada dell’acqua che – grazie alla Sieve, suo principale affluente – “trasporta” la risorsa idrica del Mugello fino all’impianto di potabilizzazione dell’Anconella, a Firenze Sud, dissetando tutta la piana di Firenze, Prato e Pistoia, e a quello di Mantignano.
L’invaso artificiale di Bilancino è stato realizzato grazie allo sbarramento sul fiume Sieve e ha consentito così di ottenere nel territorio di Barberino di Mugello uno specchio d’acqua che può contenere fino a 69 milioni di metri cubi. La diga, gestita da Publiacqua, grazie all’attenta gestione dei rilasci nella Sieve (e, a cascata, nell’Arno) gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione delle piene e tiene in vita il fiume durante tutto l’anno, garantendo un afflusso minimo. Permette così l’esistenza della fauna ittica e allo stesso tempo l’attività degli impianti dell’Anconella e di Mantignano, che possono attingere acqua da rendere potabile anche in periodi senza piogge. Dall’attivazione dell’invaso, l’Arno non ha mai vissuto secche: se non fosse stato attivo Bilancino, durante siccità gravi come quella del 2022 sarebbe stato possibile attraversare da parte a parte il fiume a piedi perché totalmente a secco.
Ma il rapporto tra l’Arno e le infrastrutture idriche arriva da lontano. Sotto il tratto fiorentino del fiume esiste ancora oggi un mondo sconosciuto ai più: tra la Torre della Zecca Vecchia e piazza Poggi, vicino alla pescaia, corre infatti un passaggio sotterraneo costituito da due gallerie parallele. Usate in passato per permettere lo spostamento protetto delle truppe da una sponda all’altra, nell’Ottocento furono ammodernate per installare le tubazioni dell’antico acquedotto fiorentino. In piazza Poggi esisteva la Fabbrica dell’Acqua, officina idraulica che è rimasta in funzione fino a metà del secolo scorso e che è collegata ad altri manufatti storici e cisterne della zona dell’Oltrarno.
Fare un bagno in Arno
“Sull’Arno d’Argento si specchia il firmamento“. Parole di una vecchia canzone, che però danno l’idea di come il fiume fosse considerato il “mare” di Firenze, per le sue acque pulite e fresche. Dal Diciottesimo secolo in poi, lungo il corso cittadino, spuntarono stabilimenti balneari, la cui presenza è stata documentata in numerosi luoghi: dall’attuale Ponte alla Vittoria a San Niccolò, da lungarno Serristori a quello vicino alla Torre della Zecca Vecchia. Zone così frequentate che nell’Ottocento furono perfino segnalati i punti più pericolosi per la balneazione visti i ripetuti annegamenti.
Attualmente per fare un bagno in Arno bisogna risalire a monte, fino all’aretino, dove il fiume crea cascatelle, piscine naturali e pozze in cui rinfrescarsi. Tra le località più gettonate c’è Canto alla Rana, una zona verde a pochi passi dall’abitato di Stia presa d’assalto nelle calde giornate estive. Tornando a Firenze, ogni 1° gennaio c’è addirittura qualche coraggioso che sfida le basse temperature e si tuffa in Arno: succede in pieno centro, dal pontile dei canottieri sotto Ponte Vecchio in occasione della tradizionale cerimonia organizzata dalla società sportiva per salutare l’anno nuovo. Un’usanza che si è interrotta soltanto durante il periodo del Covid.
Il sogno di rendere nuovamente l’Arno balneabile comunque resta vivo. Certo, non sarà d’argento come un tempo, ma la qualità delle acque è notevolmente migliorata dopo l’attivazione dell’impianto di depurazione di San Colombano e l’eliminazione degli scarichi diretti dei reflui urbani nel fiume, grazie al loro collettamento al depuratore.
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