Sotto il pelo dell’acqua qualcosa si muove: piccoli detriti, sabbia e ghiaia che derivano dall’erosione di rocce, sponde e terreno. Un fenomeno naturale, ma che adesso assume contorni e dimensioni nuove. Secondo le stime, ogni anno i laghi artificiali perdono in media dallo 0,5 all’1% della loro capacità per l’accumulo di sedimenti sul fondo degli invasi, mentre in diversi casi il letto dei fiumi si sta alzando a causa dei cambiamenti climatici e della mutata gestione dei corsi d’acqua. La sfida di oggi, che coinvolge studiosi, tecnici e chi si occupa di approvvigionamento idrico e di sicurezza idraulica, è proprio la gestione sostenibile dei materiali che si depositano in fiumi e laghi, senza ricorrere a operazioni invasive di dragaggio.
Il tema è stato al centro del XV International Symposium on River Sedimentation (ISRS 2023), il simposio internazionale sul trasporto, sulla sedimentazione e sull’erosione nei fiumi fino alle coste, ospitato per la prima volta in Italia, a Firenze, dal 5 all’8 settembre scorsi. A confrontarsi sulle possibili soluzioni al problema oltre 200 partecipanti, provenienti da circa venti Paesi del mondo, tra accademici, rappresentanti delle istituzioni e degli enti che si occupano di bacini idrici. Tra le tecnologie più promettenti che sono state presentate una particolare tecnica di idrosoluzione, una sorta di “spazzino subacqueo” automatizzato per spostare piccoli detriti da monte a valle dei laghi artificiali.
I cambiamenti climatici e l’effetto sui sedimenti in fiumi e laghi
“Nonostante comunemente siano considerati elementi statici, sempre uguali a se stessi, i fiumi in realtà sono molto più simili a un organismo vivente: evolvono a seconda delle condizioni ambientali”, spiega Luca Solari, presidente del comitato organizzatore dell’edizione italiana dell’ISRS e professore di Idraulica presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICEA) dell’Università di Firenze. Durante gli ultimi anni, in Italia come sull’Arno, si sono registrati due diversi scenari. L’eccessivo prelievo di ghiaia e materiali inerti dai fiumi avvenuto nel secondo Dopoguerra ha generato sul fronte dell’erosione pesanti danni, che tuttora si fanno sentire, mentre dagli anni Novanta – anche per una mutata politica di gestione del territorio – la tendenza crescente è quella di un accumulo di sedimenti, con il fondo dei corsi di acqua che si sta in media alzando, recuperando così parte dell’erosione avvenuta nei decenni precedenti.
Per questo motivo è fondamentale controllare periodicamente il letto dei nostri fiumi, sottolinea l’esperto, tramite rilievi strumentali. L’ultimo monitoraggio dell’Arno risale al biennio 2015-2016. “La presenza di eccessivi sedimenti comporta l’innalzamento dei livelli e quindi possibili rischi di esondazione in caso di piene. I fenomeni erosivi sono altrettanto temibili poiché incidono sulla stabilità e sulla sicurezza di opere come le pile dei ponti, le traverse, gli argini e i muri spondali”. Adesso il quadro è diventato più complesso per l’impatto dei cambiamenti climatici.
“L’aumento dell’intensità delle piogge ed eventi atmosferici concentrati nel tempo producono piene con portate più elevate e ciò accentua sia l’erosione sia la produzione di sedimenti con il trasporto verso valle di materiali solidi, mentre assistiamo pure a periodi prolungati di siccità – chiarisce Solari –. Dunque i cambiamenti climatici impongono da una parte la presenza di opere idrauliche per la laminazione delle piene, dall’altra invasi artificiali per l’approvvigionamento idrico. In tale contesto, per garantire l’efficienza delle infrastrutture, la gestione sostenibile dei sedimenti diventa essenziale”.
L’interrimento degli invasi artificiali
L’accumulo di detriti riguarda inoltre i laghi artificiali, che di fatto bloccano o rallentano il processo naturale di trasporto dei materiali solidi da monte a valle, per via dello sbarramento fisico creato dalle dighe. Il cosiddetto “interrimento” degli invasi – che riguarda circa il 50% delle grandi dighe italiane – rischia di ridurre la quantità di acqua conservata nei bacini, proprio in un momento in cui il surriscaldamento globale richiede una maggiore attenzione al water storage. Una soluzione certa e condivisa per gestire in modo sostenibile i sedimenti in fiumi e laghi ancora non c’è, osserva Solari. “Esistono diverse idee che si stanno testando. Andranno valutate in maniera integrata, tenendo in considerazione gli aspetti morfologici del singolo territorio e il possibile impatto ambientale ed ecologico di queste azioni, oltre all’interazione con le opere idrauliche esistenti”.
Tra le ultime innovazioni, presentate durante l’ISRS 2023 di Firenze, la sperimentazione di nuove tecnologie per rimuovere in modo continuo e progressivo i sedimenti dai bacini e “inviarli” a valle nei fiumi. La tecnica dell’idrosoluzione ad esempio, grazie a una sorta di “aspiratore” subacqueo collegato a una piattaforma galleggiante automatizzata, consente di estrarre dal fondo dei laghi i sedimenti, che opportunamente triturati – per ridurne le dimensioni – vengono gradualmente reimmessi a valle della diga, tramite delle condotte temporanee.
Anche il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Firenze ha sperimentato, insieme a Enel Green Power, una soluzione di questo tipo nel bacino idroelettrico di Pontecosi sul fiume Serchio, in provincia di Lucca. “L’obiettivo è il ripristino della continuità fluviale in maniera più graduale. Si tratta però di un’idea in via di sperimentazione perché dobbiamo stabilire regole e modalità di intervento, ad esempio quando e come rilasciare i sedimenti per non creare squilibri e danni nei corsi d’acqua e per la fauna ittica”.
Lago di Bilancio: meglio che altrove
Tornando in casa nostra, un team di esperti del Simposio internazionale ha compiuto una visita tecnica sul lago di Bilancino, grazie alla collaborazione di Publiacqua, tra i sostenitori del convegno. “L’invaso è sottoposto periodicamente a rilievi batimetrici del fondo per valutare l’eventuale interrimento, che al momento risulta sotto controllo – precisa il professor Solari-. La produzione, a monte della diga, di sedimenti è molto limitata probabilmente per le dimensioni contenute del bacino e per la presenza di versanti molto vegetati. A livello globale si è infatti osservato che una maggiore presenza di alberi e piante lungo i versanti implica una minore produzione di sedimenti”.
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