Ancora oggi sono dei veri e propri “forzieri”, dove viene custodita l’acqua potabile prima di essere immessa nella rete idrica. I serbatoi dell’acquedotto storico di Firenze, quelli di Carraia, del Pellegrino e della Querce, alla fine dell’Ottocento rappresentavano lo snodo cruciale per tenere in equilibrio il complesso apparato ideato da Raffaele Canevari e Luigi Del Sarto. Furono questi due ingegneri a dotare la città, per la prima volta dopo i Romani, di un efficiente impianto di gestione della risorsa idrica.
Particolare attenzione fu posta alla progettazione degli edifici, per coniugare tecnologie idrauliche, perizia costruttiva ed eleganza architettonica, con chiari riferimenti al Rinascimento fiorentino. L’obiettivo era superare la concezione meramente utilitaristica, creando anche degli spazi monumentali che esaltassero la funzione delle strutture, indispensabili per dissetare la città.
A cosa servivano i serbatoi del vecchio acquedotto di Firenze
Un tempo non fungevano soltanto da cisterne di accumulo, come avviene tuttora, ma giocavano un ruolo essenziale nel mantenimento della pressione dell’intera rete acquedottistica fiorentina. L’acqua, proveniente dalla galleria filtrante realizzata tra l’Anconella e San Niccolò, arrivava alla centrale di sollevamento nei pressi della pescaia di San Niccolò, la cosiddetta “Fabbrica dell’acqua”. Da qui, veniva pompata attraverso tubature metalliche nei tre depositi collocati a quote collinari, per essere poi reimmessa in rete sfruttando la forza della gravità.
Per i serbatoi di Carraia e del Pellegrino, che servivano rispettivamente la zona sud e nord della città, i lavori iniziarono nell’autunno del 1873, terminando con il collaudo nella prima parte del 1877. Sempre nello stesso decennio fu potenziato l’antico impianto della Querce, posizionato sopra il quartiere delle Cure, porzione della rete idrica cinquecentesca di Montereggi, voluto da Cosimo I. Il 3 giugno 1877 fu inaugurato l’intero acquedotto storico di Firenze che poteva contare su un anello di tubature lungo 8 chilometri, al quale si aggiungevano 24 chilometri di sviluppo secondario.
Il serbatoio di Carraia
Tra i serbatoi del vecchio acquedotto di Firenze, un ruolo di rilievo dal punto di vista architettonico lo riveste quello di Carraia, detto anche “serbatoio meridionale”. Fu costruito al di fuori delle mura medievali della città, in via dell’Erta Canina, tra il rione di San Niccolò e il piazzale Michelangelo. Questa zona custodiva fonti acquifere usate già nel Cinquecento per l’infrastruttura idrica voluta da Cosimo I, contraddistinte però da un’estrema variabilità stagionale.

Canevari e Del Sarto scelsero questo spazio non tanto per la presenza di sorgenti, quanto per la sua posizione vicina alla città e allo stesso tempo sopraelevata rispetto all’insediamento urbano. L’idea non era solo costruire un deposito in grado di garantire l’immagazzinamento e la tenuta a pressione dell’acqua, ma anche realizzare tutto intorno un suggestivo giardino, aperto tutt’oggi al pubblico e restaurato di recente da Publiacqua grazie all’Art Bonus.

L’opera si sviluppa su più altimetrie, quasi a creare un percorso scenografico. Il declivio naturale è stato sfruttato per interrare le due cisterne quadrate capaci di stoccare in tutto 13.500 metri cubi d’acqua, con ampie volte a crociera in mattoni sorrette da 36 pilastri in pietra serena. Sul “tetto” del serbatoio, ricoperto da uno strato di terra, si trova il livello superiore del parco, raggiungibile grazie a due rampe di scale che abbracciano l’area verde, mentre nella porzione inferiore, i magazzini idrici sono celati alla vista da un fronte monumentale neorinascimentale, arricchito da una grande grotta-ninfeo con tanto di fontana e coperture delle pareti rivestite da spugne.
In posizione dominante si colloca infine un edificio neo-quattrocentesco, denominato nei progetti “Casotto centrale”, che ospita ambienti tecnici e, in origine, l’alloggio del guardiano. Dagli anni Sessanta del Novecento la struttura di Carraia ha perso la sua funzione di regolazione della pressione nella rete ed è impiegata esclusivamente per l’accumulo, fornendo circa 6.000 metri cubi al giorno a due sollevamenti che alimentano i serbatoi di Arcetri e di Pian dei Giullari.

Il serbatoio del Pellegrino e quello della Querce
Il sistema dei serbatoi dell’acquedotto ottocentesco si completava, dall’altra parte della città, con i depositi della Querce (sopra le Cure) e del Pellegrino (tra via Bolognese e via Bruni), destinati all’approvvigionamento della parte nord di Firenze. Il primo nacque durante gli anni Settanta dell’Ottocento dal potenziamento e dall’ampliamento dell’infrastruttura già a servizio dell’acquedotto cinquecentesco di Montereggi, da cui è stato distaccato definitivamente nel 1980. A seguito dei lavori nella seconda metà del XIX secolo l’impianto raggiunse la capacità complessiva di circa 4.000 metri cubi, quaranta volte quella originaria, grazie a due cisterne. Una, ricavata in prossimità di via delle Forbici, presenta una pianta rettangolare ed è divisa in due ambienti. La seconda, denominata “succursale”, è contraddistinta da un particolare sviluppo in lunghezza e, come la precedente, è separata internamente in due compartimenti distinti.

Il serbatoio del Pellegrino fu invece realizzato da zero, negli stessi anni di quello di Carraia, sbancando una collinetta vicino alla chiesa di Santa Maria del Suffragio per ottenere due distinti locali interrati di sezione rettangolare, affiancati l’uno all’altro e capaci di raccogliere un totale di 19.300 metri cubi d’acqua. Se da una parte gli interni sono caratterizzati da uno stile architettonico semplice e funzionale, il fabbricato di servizio che si trova sulla parte anteriore evoca i temi compositivi del rinascimento fiorentino e romano.
Un patrimonio storico che – come nel caso degli altri serbatoi dell’acquedotto ottocentesco di Firenze – è usato attualmente per stoccare risorsa idrica. Tutte le notti le cisterne del Pellegrino vengono riempite e durante il giorno l’acqua viene distribuita in città, tramite pompe idrovore da 350 litri al secondo per caricare due depositi che, a gravità, alimentano Le Cure e la rete fiorentina.

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