Come sappiamo, l’acqua potabile arriva nelle nostre case in maniera sicura tramite l’acquedotto e una volta utilizzata – e quindi “sporcata” – viene raccolta nelle reti fognarie e ha bisogno di essere ripulita prima di essere scaricata nei corpi idrici superficiali (fiumi, laghi, mari) Qui entrano in gioco gli impianti di depurazione, sistemi complessi ma necessari al trattamento delle acque reflue prima che siano immesse nell’ambiente. In questo articolo, analizzeremo nel dettaglio come funziona il processo di depurazione dell’acqua, che sottostà a norme molto severe ed è regolamentato da specifiche direttive europee, talvolta purtroppo violate nel nostro Paese, come dimostrano diverse procedure d’infrazione aperte negli ultimi anni.
Le acque reflue e il loro conferimento all’impianto di depurazione
Per capire come funziona il processo di depurazione, vediamo prima di tutto da dove viene l’acqua da depurare e da cosa è composta. L’acqua utilizzata per lavarsi, cucinare ma anche per lo scarico del wc contiene detersivi, grassi, oli e sostanze organiche. In questa specifica condizione le acque di scarto di tutte le attività (domestiche e non) vengono definite “acque reflue” e finiscono per essere raccolte dalle fognature pubbliche. Attraverso questa rete giungono all’impianto di depurazione, solitamente situato a una pendenza più bassa, per facilitare lo scorrimento e la raccolta delle acque, e in prossimità di un fiume per velocizzare la loro reimmissione, come succede nell’area fiorentina dotata del depuratore di San Colombano che serve un bacino di circa 600.000 abitanti per otto Comuni.
L’impianto di depurazione raccoglie le acque bianche, grigie e nere. Vediamo la differenza:
- Le acque bianche sono quelle che derivano essenzialmente dalla pioggia e che confluiscono nella rete fognaria insieme alle acque reflue provenienti dalle abitazioni.
- Le acque grigie sono quelle provenienti dalle abitazioni e che contengono saponi (in altri termini le acque che sgorgano dagli scarichi di lavandini, docce e similari). Queste subiscono un “pre-trattamento” prima di entrare nella rete fognaria, grazie a un impianto (degrassatore) di cui sono dotati gli edifici e che permette di eliminare appunto il sapone, sostanza chimica solitamente molto inquinante.
- Le acque nere sono quelle che contengono materia organica, ovvero le acque di scarico dei servizi igienici.
Depurazione dell’acqua, fase 1: sollevamento, grigliatura, dissabbiatura e disoleatura
La prima fase di depurazione delle acque reflue consiste in alcuni trattamenti preliminari di tipo meccanico quali:
- Sollevamento delle acque: appena raggiungono l’impianto, dunque, le acque sporche, con l’aiuto delle pompe, vengono sollevate e inviate in un canale di raccolta, il punto più alto della linea di trattamento, da cui ricadranno per effetto della gravità verso le successive vasche dell’impianto.
- Grigliatura: qui l’acqua passa attraverso alcune griglie che bloccano i residui solidi. Hanno buchi di diversa grandezza per filtrare, appunto, residui di differente tipologia, piccoli fino anche a 2-3 millimetri. Si tratta in pratica di un “filtro” capace di liberare l’acqua da detriti solidi: dai pezzi di legno ai rifiuti che si producono ogni giorno (plastica, cotton fioc, mozziconi) e che spesso finiscono (purtroppo) negli scarichi. Vediamo quali sono i passaggi principali:
- Dissabbiatura e disoleatura: questo processo serve per eliminare sabbia e oli dalle acque reflue. La dissabbiatura separa sabbie e terriccio, che si depositano sul fondo e vengono poi aspirati. Gli oli e i grassi invece, grazie a dell’aria che viene immessa per generare turbolenza, salgono in superficie e da qui scremati e inviati a un apposito pozzetto di accumulo.
L’acqua reflua in uscita da queste vasche passa in seguito ai trattamenti biologici.
Fase 2: i reattori biologici dell’impianto di depurazione
Eccoci dunque al cuore dell’impianto, dove avvengono i trattamenti più importanti, quelli che di fatto eliminano le sostanze inquinanti non visibili ad occhio nudo. Le acque reflue vengono qui conferite in delle vasche chiamate reattori biologici, dove sono presenti dei microrganismi, batteri che trasformano le sostanze inquinanti (in particolare le sostanze organiche e l’azoto ammoniacale) in composti stabili come acqua, anidride carbonica e azoto molecolare. Questi batteri si nutrono delle sostanze organiche e inorganiche inquinanti ma, per farlo, hanno bisogno di ossigeno, che viene costantemente immesso nelle vasche tramite un aerazione forzata “a bolle fini”. Se il depuratore non ci fosse, avremmo un unico scarico fognario diretto nel fiume dove i processi biochimici aerobici di degradazione avverrebbero comunque, ma consumando tutto l’ossigeno disponibile e rendendo impossibile la vita per la fauna ittica.
Il processo biochimico che si svolge è tanto complesso quanto fondamentale. Basti comunque ricordare che, alla fine, l’insieme di microorganismi che con la loro attività biologica contribuiscono alla degradazione della sostanza organica viene detto “fango attivo”. Nel reattore biologico sono inoltre collocate alcune sonde che misurano i parametri fondamentali per il controllo del processo depurativo come la quantità di ossigeno, le quantità di azoto e di fosforo e la quantità di solidi sospesi. Il valore dei solidi sospesi consente di monitorare la concentrazione dei fanghi attivi nelle vasche biologiche in modo da mantenerla più o meno costante nel tempo.
Come funziona la fase finale della depurazione dell’acqua
Come indica la parola stessa, nei sedimentatori avviene un ulteriore processo di separazione tra composti con diverso peso specifico: l’acqua depurata e priva dunque di fanghi rimane in superficie, mentre i fanghi “digeriti” dai batteri e contenenti sostanze inquinanti si depositano sul fondo. I fanghi raccolti dal fondo dei sedimentatori sono ricircolati nelle vasche biologiche in modo da garantire un tempo di permanenza nel sistema dei microorganismi sufficiente per far avvenire i processi depurativi (circa venti giorni). L’acqua depurata può essere invece reimmessa direttamente nei corpi idrici recettori. In alcuni casi (es. scarichi in acque superficiali destinate alla balneazione) lo scarico in ambiente delle acque depurate è consentito solo dopo un processo di disinfezione ottenutaattraverso il dosaggio di prodotti chimici specifici (es. acido peracetico o ipoclorito di sodio) o sistemi fisici (raggi ultravioletti).
L’altro processo nella parte finale della depurazione riguarda invece il trattamento dei fanghi. Una parte del fango dal fondo dei sedimentatori viene inviato alla cosiddetta “linea fanghi”. L’estrazione di una aliquota dei fanghi è fondamentale perché altrimenti la loro concentrazione nelle vasche biologiche crescerebbe senza controllo e la separazione per gravità dei solidi sospesi dall’acqua nella sedimentazione non sarebbe più possibile.
I fanghi estratti sono addensati in alcune macchine centrifughe eliminando una parte dell’acqua di cui sono costituiti che viene ricircolata in testa al processo biologico. A questo punto in fanghi possono essere inviati ai digestori anaerobici, previo riscaldamento a 35°C ottenuto sfruttando il biogas prodotto dai digestori stessi. Questi ultimi infatti sono reattori in cui troviamo altri batteri fermentativi che completano la decomposizione dei residui organici in totale assenza di ossigeno, stabilizzando il fango in un prodotto che non è più ulteriormente biodegradabile. Da questa digestione anaerobica si genera il biogas che è formato per il 65%da metano e per il restante 35% da anidride carbonica. Il biogas prodotto viene poi accumulato in cisterne dette “gasometri” e bruciato in apposite caldaie che sviluppano il calore necessario per il mantenimento a 35°C dei digestori. Infine, il fango stabilizzato viene prima disidratato meccanicamente in modo che abbia una consistenza “palabile”, e poi inviato ad altri specifici impianti di trattamento per poi essere utilizzato, ad esempio, come fertilizzante in agricoltura.
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