Non solo le conseguenze sul livello dei mari e sull’approvvigionamento idrico, lo scioglimento dei ghiacciai perenni sta cancellando una delle più grandi banche dati naturali che la Terra possiede sul proprio clima. Una sorta di “macchina del tempo”, che grazie all’esame dei campioni provenienti dalle perforazioni della calotta polare, rivela informazioni preziose sulle condizioni dell’atmosfera del nostro pianeta nel corso di migliaia di anni e sull’evoluzione climatica.
Quelli che potremmo considerare dei “reperti archeologici” a tutti gli effetti vengono studiati anche a Firenze, nel polo scientifico di Sesto Fiorentino, dove il Dipartimento di Chimica dell’Università gestisce una camera fredda con campioni di ghiaccio provenienti dall’Artide e dall’Antartide. “Si tratta di una memoria del clima del passato perché sul manto nevoso si deposita l’aerosol atmosferico che poi, strato dopo strato, anno dopo anno, viene ‘archiviato’ nel ghiacciaio, diventando così un vero e proprio libro di storia del clima. Ovviamente bisogna saperlo leggere con gli strumenti adeguati e il carotaggio va compiuto nel posto giusto, con il minor grado possibile di contaminazione”. A parlare è Rita Traversi, docente di Chimica analitica dell’Università di Firenze che da anni fa parte del programma di ricerche in Artico e del programma nazionale di ricerca in Antartide. Proprio dai ghiacciai emergono nuovi quesiti scientifici sull’impatto dei gas serra sul clima.
Le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai: una corsa contro il tempo
I ghiacciai rappresentano la cartina di tornasole del cambiamento climatico, con conseguenze sia per la riduzione delle riserve d’acqua (ad esempio per l’assenza di neve sulle principali catene montuose) sia per l’innalzamento del livello dei mari, che – secondo il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico dell’Onu (IPCC) – entro la fine del secolo potrà toccare, in media, il metro in più. “Ad oggi assistiamo a un restringimento del volume dei ghiacciai che oltre a essere un indice del cambiamento climatico, sta via via mettendo a rischio un archivio climatico molto valido”, avverte Traversi.
La stessa ricercatrice, nei suoi otto viaggi al Polo Nord, ha potuto constatare in prima persona gli effetti di questi mutamenti: la quantità di ghiaccio che copre il Kongsfjorden delle norvegesi Isole Svalbard, dove si trova la base artica italiana, negli ultimi tempi è calata a vista d’occhio. “I ghiacciai stanno diminuendo progressivamente, perciò dobbiamo studiarli molto bene ora che ne abbiamo la possibilità”. Tali indagini potrebbero gettare una nuova luce sul fenomeno dei mutamenti climatici. Stando a una ricerca pubblicata su Science e finanziata dalla Nasa, con un innalzamento della temperatura mondiale di 1,5° rispetto all’era preindustriale, entro il 2100 il globo terrestre perderà la metà dei ghiacciai. Una previsione preoccupante visto che la media globale ha già toccato quota +1,2°.
Un archivio fatto di “carote di ghiaccio”
I dati climatici custoditi nei ghiacciai sono studiati grazie a campionamenti ottenuti con perforazioni in punti specifici, individuati dagli esperti, dove i vari strati di neve si sono sovrapposti tra loro e conservati in modo inalterato. Con i carotaggi si ottengono così campioni cilindrici, in genere di un diametro di 8-10 centimetri e di lunghezza variabile, che vengono suddivisi tra i gruppi di ricerca internazionali per differenti analisi, sia in loco, sia nei vari laboratori nazionali. “Da queste ‘carote di ghiaccio’ è possibile capire qual era lo stato dell’atmosfera migliaia di anni fa – spiega la professoressa Traversi – al momento il record è del progetto europeo in Antartide EPICA con il campione più lungo mai prelevato al mondo: 3.300 metri che coprono circa 900.000 anni di storia climatica del pianeta”.
I chimici dell’Università di Firenze vanno a caccia degli indizi del clima del passato, poiché i vari elementi imprigionati nel reticolo cristallino del ghiaccio, tra cui CO2, metano, ossidi di azoto e solfati, sono presenti in concentrazioni bassissime. La sfida è quindi mettere a punto metodi di rilevazione molto sensibili da applicare a campioni unici, su cui i ricercatori non possono permettersi di sbagliare visto che le missioni di carotaggio vengono svolte di rado.
Lo scioglimento dei ghiacciai e il cambiamento climatico
Dagli studi dei campioni emergono nuovi quesiti sulla relazione tra l’aumento delle emissioni di anidride carbonica e l’innalzamento delle temperature, che sta causando tra le altre cose lo scioglimento degli stessi ghiacciai. “A differenza di quello che si legge sui media questo rapporto non è così lineare e semplice – spiega Traversi – . Dall’esame delle carote di ghiaccio notiamo che nell’emisfero boreale prima aumenta la CO2 e poi la temperatura. Nell’emisfero australe spesso si verifica il contrario: innanzitutto cresce la temperatura e successivamente la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Certamente esiste un rapporto tra questi due elementi, che noi possiamo spezzare solo diminuendo le emissioni, tuttavia c’è ancora tanto che non abbiamo capito. Questa relazione è governata da una dinamica complessa, tutta da indagare”.
Un altro punto interrogativo riguarda la durata anomala dell’era climatica in corso, osserva l’esperta. “Nel corso della storia della Terra si è assistito, per cause da indagare, a un’oscillazione periodica tra cicli glaciali di circa 100.000 anni e periodi interglaciali, come quello che stiamo vivendo ora, lunghi grossomodo 10.000 anni. Ciò si nota molto bene dalle analisi dei campioni di ghiaccio. Ebbene l’Olocene, l’era interglaciale attuale, durante la quale si è evoluto l’Uomo, dura da 11.500 anni. Statisticamente è molto più lunga delle altre fasi interglaciali, ma per adesso non sappiamo se i fenomeni del cambiamento climatico che stiamo vivendo siano andati a interferire con i lenti processi di raffreddamento della superficie terrestre”.
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