Per quanto riguarda la parità di genere l’Italia è ancora indietro, tuttavia le imprese possono fare la loro parte per dare il via a una vera e propria rivoluzione in questo campo. Dotarsi di strumenti per l’inclusione come il bilancio di genere, il piano strategico di genere e la certificazione sulla parità di genere possono infatti innescare un circolo virtuoso non solo all’interno della stessa azienda, ma perfino nel territorio in cui le realtà sono inserite. Questi temi sono stati al centro del convegno “Diversità, Equità, Inclusione – Impegno e prospettive per le persone e il territorio”, promosso da Publiacqua a Firenze lo scorso 30 ottobre, che ha messo a confronto addette ai lavori, manager ed esperte.
Lo spunto da cui è partita la discussione è stato l’ottenimento da parte di Publiacqua della Certificazione sulla parità di genere UNI/PdR 125:2022, frutto di un miglioramento continuo che ha visto nel 2020 l’avvio del progetto “Revolutionary road – Un cammino tra diversità e inclusione”. Dalla nomina della Diversity Manager, alla formazione del personale, fino alla messa a punto di una procedura interna di segnalazione contro molestie e discriminazioni, sono molte le azioni che hanno portato a questo risultato, una tappa di un lungo percorso e non un semplice punto d’arrivo.
I dati sull’inclusione e la parità di genere
Secondo il Global gender gap report 2024, che ogni anno stila un bilancio della situazione della parità di genere in 146 Paesi del mondo, l’Italia nell’ultimo anno ha perso 8 posizioni scendendo all’87esimo gradino della classifica, soprattutto per la bassa partecipazione delle donne alla politica e in ambito economico, con una limitata presenza in ruoli apicali. Durante il 2023 l’occupazione femminile in Europa ha raggiunto il 66%, mentre in Italia si è fermata al 50%. Nel nostro Paese le donne continuano a guadagnare meno rispetto ai colleghi maschi, con un divario contributivo medio del 20%, mentre il dato europeo è al 13%.
A livello territoriale e dei singoli settori economici però la situazione del gender gap varia. Le utilities, le società italiane di servizi pubblici che si occupano di energia, gas, rifiuti e acqua, sono tra i soggetti più attenti in questo ambito e di recente hanno promosso un indicatore specifico, il D&I Index, per monitorare l’applicazione degli impegni sulla diversità e sull’inclusione.
Certificazione di parità di genere
Un primo passo per il miglioramento è appunto la Certificazione sulla parità di genere, uno strumento di trasparenza che può essere ottenuto su base volontaria da enti pubblici o da società private di ogni settore e di ogni dimensione. Si tratta di una vera e propria analisi del bilanciamento tra i diversi generi all’interno della singola impresa, che rileva le criticità, stila un programma di miglioramento e di monitoraggio. L’obiettivo è accompagnare e incentivare policy efficienti per promuovere e garantire l’uguaglianza di genere nelle pratiche aziendali, colmare i gap esistenti e contribuire a creare un ambiente di lavoro più equo, inclusivo e produttivo.
I piani su cui si opera riguardano la presenza femminile, le pari opportunità di carriera per i due generi, la conciliazione vita-lavoro e lo sviluppo di un ambiente professionale che rifiuti stereotipi, discriminazioni e ogni forma di abuso fisico e verbale anche grazie all’uso consapevole del linguaggio. Tuttavia, la certificazione, se non accompagnata da un progetto più ampio che includa anche le altre aree di Diversity, Equity & Inclusion e il coinvolgimento degli stakeholder, rischia di rimanere riferita esclusivamente all’ambito interno dell’impresa o dell’ente pubblico. Parallelamente esistono dei modelli, come il bilancio di genere e il piano strategico di genere, che invece puntano a estendere l’analisi pure al di fuori della realtà presa in esame.
Il bilancio di genere e la responsabilità sociale
Nel dettaglio il bilancio di genere (gender budgeting) valuta in ottica di genere le scelte e gli impegni economici-finanziari di un’azienda o di un’amministrazione pubblica, facendo riferimento al contesto circostante. In sostanza mira a promuovere una maggiore trasparenza sulla destinazione delle risorse di bilancio e sul loro impatto. Per non rimanere una mera fotografia statica, è necessario sviluppare il bilancio tramite un piano strategico di genere: una volta rilevate le criticità per l’inclusione e la parità, questo documento indica i possibili scenari per intraprendere le azioni correttive.
“Il bilancio di genere attualmente è scelto soprattutto dalle amministrazioni pubbliche – ha spiegato la professoressa Maria Paola Monaco, delegata della Rettrice all’inclusione e Diversità per l’Università degli Studi di Firenze -. Per gli enti come Comuni, Province e Regioni, serve a conoscere la situazione al proprio interno e il territorio di riferimento, per saper adeguare le politiche in base alle criticità. Facciamo un esempio. Se in un’area sono presenti pochi mezzi di trasporto pubblico, tale circostanza potrebbe limitare la mobilità delle donne, che statisticamente si spostano molto di più rispetto agli uomini. Allo stesso modo le aziende possono usare questo strumento non solo per analizzare la condizione interna, ma anche quella esterna, visto che i dipendenti vivono sul territorio”.
In questo quadro si inserisce l’applicazione della direttiva europea 2022/2464 (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD), recepita dall’Italia con il decreto legislativo 125 del 6 settembre 2024. La norma impone alle grandi imprese l’obbligo di fornire agli investitori, tra le informazioni non finanziarie, anche quelle sociali. “La responsabilità sociale dell’impresa sta emergendo come una tematica cruciale – ha osservato Monaco -. La letteratura giuridica ed economica sta dimostrando che le aziende impegnate nella parità di genere ottengono migliori risultati finanziari nel lungo periodo. Investitori e stakeholder considerano sempre più rilevanti questi fattori nelle decisioni di investimento, perché una gestione che integra la diversità di genere contribuisce a ridurre i rischi reputazionali e sociali”.