La desertificazione non è un rischio futuro, ma è un’emergenza del presente con conseguenze che si vedono in ogni parte del mondo, anche in Italia. Negli ultimi 30 anni il 78% delle terre emerse è diventato più arido e le zone con un suolo ormai reso sterile sono cresciute di 4,3 milioni di chilometri quadrati, un’area più vasta dell’intera India. A dirlo è la Convenzione ONU per la lotta contro la desertificazione (UNCCD) nel suo dossier The Global Threat of Drying Lands.
“Spesso i segnali di impoverimento del suolo sono poco percettibili nell’immediato e quando ci accorgiamo della sua decadenza è già troppo tardi – avverte Anna Luise, dirigente di ricerca presso ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, e corrispondente tecnico-scientifica per l’Italia dell’UNCCD -. Per questo è necessario un monitoraggio attento, per agire prima che l’impoverimento del terreno diventi irreversibile”.
La seconda edizione del Global Land Outlook, il principale rapporto sullo stato di salute del territorio, prevede che – se non ci saranno inversioni di tendenza – entro il 2050 il mondo rischia un aumento della superficie degradata pari quasi all’intera estensione del Sud America. Una prospettiva che mette in allarme.
Il suolo sotto stress: desertificazione, siccità e alluvioni
Accanto alla desertificazione, il benessere del terreno è minacciato da due fenomeni interconnessi: le siccità, sempre più frequenti e intense, e le alluvioni improvvise, che spesso seguono periodi di prolungata aridità. Queste ultime colpiscono una superficie già secca e compattata, incapace di assorbire l’acqua in modo efficace, causando esondazioni, danni all’agricoltura e problemi al delicato equilibrio dell’ecosistema.
“Quando le piogge sono molto abbondanti le precipitazioni scivolano via anziché penetrare. È come versare acqua in un lavandino col tappo otturato – chiarisce Luise –. Ciò accade in Paesi già segnati da gravi condizioni di desertificazione, ad esempio il Senegal, ma anche in Italia, come dimostrano gli eventi recenti in Emilia-Romagna. Le piogge torrenziali non ricaricano le falde e contemporaneamente causano l’erosione del suolo, andando a intaccare lo strato superficiale. Ciò rende i terreni meno produttivi,con minor sostanza organica e vita biotica, provocando effetti negativi su fronti differenti. Non scordiamoci che un terreno in buona salute consente la regimentazione dei fiumi e permette i complessi scambi biochimici capaci di mitigare l’innalzamento delle temperature”.

Le cause della desertificazione
La desertificazione, definita dalla Convenzione dell’ONU come il degrado del suolo in aree aride, semi-aride e sub-umide secche, è provocata dalla combinazione di cause climatiche, come il riscaldamento globale, e delle conseguenze delle azioni umane. L’agricoltura intensiva e l’impiego di varietà ad alto consumo idrico impoveriscono la terra e riducono la biodiversità; l’uso di pesticidi e sostanze chimiche annientano i “microrganismi utili” del terreno; lo sviluppo urbanistico delle città impermeabilizza il suolo.
Siccità, alluvioni e desertificazione si intrecciano così tra loro, rendendo difficile dire qual è la causa e quale l’effetto. “È un mix micidiale tra fattori ambientali e antropici – sottolinea la studiosa dell’ISPRA –. Le siccità sono sempre più estreme, mentre le precipitazioni, quando arrivano, sono concentrate in brevi periodi. Tale squilibrio danneggia il suolo e compromette la sua resilienza”.

Un rischio globale
L’Africa è spesso considerata come l’epicentro della desertificazione, tuttavia il fenomeno è presente a livello planetario, attraversa confini e continenti. “Ad esempio, nel Nord del Brasile, il disboscamento dell’Amazzonia per ottenere campi di soia e foraggio per gli allevamenti sta causando una perdita di biodiversità e un incremento del degrado del terreno tale che le aree desertificate si stanno ampliando – osserva Anna Luise -. Una tendenza che si registra pure negli Stati Uniti, in Arizona, in quella che è da sempre considerata la terra del grano”.

Anche l’Italia è vulnerabile, spiega la ricercatrice. “Abbiamo calcolato, usando gli indicatori della Convenzione ONU, che circa il 17-18% del nostro territorio ha segni di degrado evidente. Le regioni più fragili sono, come noto, Sicilia, Sardegna, Puglia e Basilicata, ma ci sono per così dire ‘macchie’ di degrado in località del Veneto, della Liguria, delle Marche, in Piemonte e, come dicevamo, in Emilia Romagna, anche a seguito di siccità e alluvioni”.
Le risposte possibili: prevenzione, recupero, governance
Siamo quindi davanti a una vera e propria emergenza, tant’è che il G20 del Sudafrica ha indicato tra le cinque priorità da affrontare il degrado del suolo, la desertificazione e la siccità, quello che nel gergo degli studiosi viene indicato con una sola sigla, DLDD, Desertification, Land Degradation and Drought.
Nonostante le cause interconnesse, c’è una possibilità per combattere la “corsa” della desertificazione, dice la corrispondente tecnico-scientifica per l’Italia dell’UNCCD. “Ormai la crescita delle temperature sta andando più velocemente di quanto avevamo previsto, non ci resta che fare prevenzione. Dobbiamo evitare la pressione antropica sul suolo, soprattutto da parte dell’agricoltura industriale e dell’urbanizzazione selvaggia, portando avanti una visione integrata, che studia le conseguenze delle nostre azioni sull’ecosistema a più livelli. In secondo luogo, dobbiamo investire nel recupero del suolo, dove ancora è possibile, e pianificare con regole chiare il governo del territorio”.
In Europa qualcosa si sta muovendo, con la definizione della nuova direttiva dell’UE per il monitoraggio e la resilienza del suolo (Soil Monitoring and Resilience). “Si punta proprio sul monitoraggio, per non arrivare troppo tardi, e a introdurre azioni di protezione che aumentino la resilienza. All’ultima Conferenza per il clima a Riyadh, Johan Rockström, padre del concetto dei confini planetari (soglie ecologiche che il pianeta non dovrebbe superare per mantenere un ambiente favorevole alla vita ndr), ha presentato un rapporto sul suolo e ha ribadito un fatto: siamo sull’orlo di un precipizio. Insomma, dobbiamo agire subito”.
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