È uno dei settori più idrovori. Allo stesso tempo è tra quelli pesantemente danneggiati dai cambiamenti climatici. L’agricoltura, secondo le stime della FAO, a livello mondiale assorbe il 72% del consumo totale di acqua dolce, in gran parte per l’irrigazione, e questo fabbisogno idrico è destinato a crescere del 35% entro il 2050, di pari passo all’incremento della popolazione globale. Nel nostro Paese, stando alle stime del centro studi Italy for Climate, 16 miliardi di metri cubi vengono impiegati in media ogni anno per “dissetare” le colture, pari al 40% dei prelievi nazionali. Contemporaneamente le coltivazioni sono messe a rischio da eventi meteo estremi, come alluvioni lampo e inondazioni, nonché dalle siccità, la cui incidenza negli ultimi due decenni è aumentata del 29%. La tutela del suolo e un uso sostenibile dell’acqua, improntato al risparmio idrico, rappresentano due sfide cruciali per l’agricoltura, anche per garantire un livello adeguato di produzione alimentare.
Le buone pratiche esistono – dalle tecniche di precisione al ritorno a coltivazioni meno intensive – ma su molti fronti servono investimenti pubblici e formazione. A dirlo sono gli esperti dell’Accademia dei Georgofili, storica istituzione fiorentina che da oltre due secoli e mezzo si occupa di studi di agraria e agronomia, promotrice di un ciclo di incontri sul futuro del settore primario, intitolato “Agricoltura 2030”. Tra tanti temi toccati pure la gestione del suolo e dell’acqua.
Immagazzinare acqua e arricchire il suolo
Il primo aspetto da affrontare riguarda ciò che sta sotto i nostri piedi, ma che spesso non è curato come dovrebbe, dice Marcello Pagliai, ex dirigente di Ricerca del CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, e accademico dei Georgofili. “Da una parte – spiega – ci sono gli effetti della crisi climatica, con l’alternanza di momenti siccitosi e di precipitazioni molto intense che il terreno riesce solo in piccolissima parte a trattenere. Dall’altra stiamo vivendo le conseguenze delle pratiche agricole del passato: le monocolture e le lavorazioni con arature profonde, introdotte durante il boom italiano degli anni Settanta, hanno inizialmente aumentato la produzione e dato un forte impulso economico, tuttavia col passare del tempo hanno impoverito il suolo. Oggi il nostro terreno produce meno di cinquant’anni fa, inoltre si è formato uno strato impermeabile al limite inferiore con problemi di drenaggio”.
In Italia, secondo la Re Soil Foundation, un quarto del suolo è altamente degradato. L’80% dei terreni agricoli soffre di erosione, il 68% ha perso più della metà del carbonio organico (elemento che tra le altre cose aumenta la velocità di infiltrazione d’acqua) e il 23% presenta una quota eccessiva di azoto. I campi, impoveriti di sostanza organica, assorbono meno acqua, mentre l’agricoltura è sempre più assetata e bisognosa di nuove soluzioni per l’immagazzinamento di risorse idriche. Servono investimenti per sostenere il settore e per definire un piano complessivo, afferma l’esperto, perché le possibili soluzioni esistono: dare un vero impulso alla creazione di un sistema di invasi artificiali di cui si parla da anni; ripristinare le vecchie cisterne e i vecchi serbatoi usati dalle fattorie tradizionali; tornare a curare le terre marginali, in montagna come in collina, con terrazzamenti e regimazione idrica, per limitare la discesa violenta a valle delle acque.
“Manca una programmazione a lungo termine: i processi che coinvolgono il suolo si svolgono in un arco temporale ampio – osserva Pagliai -. Per arricchire il terreno è necessario tornare alla rotazione delle colture,preferendole a quelle intensive, e reintrodurre la pratica del sovescio, ossia piantare colture leguminose per poi interrarle successivamente. Tutto questo però necessita di tempo e di denaro, tuttavia sul lungo periodo porterebbe anche a una maggiore capacità di ritenzione idrica del terreno”.
Agricoltura di precisione per un uso sostenibile dell’acqua: l’irrigazione sostenibile
Tradizione e innovazione. Gli ultimi progressi tecnologici possono aiutare l’agricoltura a usare l’acqua meglio e in modo sostenibile. Nel 2020 il settimo censimento generale dell’agricoltura italiana ha evidenziato come il 15,8% delle aziende agricole italiane utilizzava già per la propria attività attrezzature informatiche e digitali, una diffusione quadruplicata rispetto a dieci anni prima.
“Le tecniche di precisione impiegate attualmente dalle aziende agricole, come l’irrigazione a goccia o la sub-irrigazione, sono molto efficienti. Si arriva a punte del 90%, rispetto al 40-45% delle tecniche convenzionali – fa notare Simone Orlandini, professore di Agronomia dell’Università di Firenze e accademico dei Georgofili – la questione sta adesso nel valutare dove, quando e quanta acqua dare per evitare sprechi e ottimizzare l’uso della risorsa. Già oggi esistono tecnologie che stabiliscono con esattezza il fabbisogno idrico di ogni singola coltura, a seconda delle condizioni climatiche e addirittura della microzona dove si trovano all’interno di una stessa azienda”.
Sensori a terra, piccole stazioni meteo in campo, rilevazioni satellitari e con droni alimentano modelli di simulazione, che grazie all’uso di app e software permettono di creare delle mappe dei fabbisogni idrici e quindi procedere all’irrigazione localizzata. Ancora queste soluzioni non sono così diffuse e si concentrano nelle realtà produttive con maggiore margine di guadagno, dal vino all’olio. “Ci sono tre aspetti su cui lavorare – conclude Orlandini- l’innovazione tecnologica, il miglioramento genetico per selezionare varietà adatte ai climi caldi e più resistenti alla siccità e soprattutto la formazione per trasferire questi saperi a chi è sul campo”.
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