Un filtro a carboni attivi è un valido alleato, insieme ad altre tecnologie, per rendere l’acqua potabile, buona e sicura e, per tale motivo ,il suo impiego negli impianti di potabilizzazione è sempre più diffuso. Allo stesso tempo negli ultimi anni è aumentato il suo utilizzo anche per usi privati. In questi casi è necessario rispettare delle semplici regole di manutenzione perché un sistema di questo genere può, se non manutenuto correttamente, anche risultare controproducente. La risorsa idrica dell’acquedotto è infatti sottoposta a controlli costanti, cosa che non avviene per l’acqua che sgorga dal filtro a carbone domestico. Vediamo allora nel dettaglio come funzionano i filtri a carboni attivi, a cosa servono e a quali aspetti porre attenzione.
Come funzionano i carboni attivi per l’acqua del rubinetto
Prima di tutto va chiarito cosa significa “carboni attivi”: con questa espressione sono indicate particolari sostanze che, dosate in polvere o utilizzate come veri e propri filtri, sono in grado di trattenere in modo selettivo i composti inquinanti e nocivi disciolti nell’acqua, bloccandoli sulla superficie dei grani. Un fenomeno chimico-fisico che in gergo viene chiamato adsorbimento. I carboni funzionano come filtro di inquinanti grazie a un processo di attivazione che conferisce loro una superficie specifica, attiva all’adsorbimento, elevatissima, visto che si parla, per i carboni comunemente utilizzati nella potabilizzazione, di oltre 1.000 metri quadrati per grammo.

Il materiale dentro i filtri è dotato di numerosissimi pori e per misurare il diametro dei più piccoli bisogna fare riferimento all’ordine del miliardesimo di metro. Se volessimo semplificare al massimo il concetto, un filtro a carboni attivi si comporta allo stesso modo di un setaccio dai fori microscopici, che grazie a impercettibili buchi nel suo telaio riesce a trattenere le molecole dei composti inquinanti, fino al punto di ridurne la concentrazione a valori infinitesimali nell’acqua di contatto, senza però incidere sui sali minerali e sugli altri elementi benefici per l’organismo umano contenuti nell’acqua.
Acqua potabile: a cosa serve un filtro a carboni attivi
A seconda della fonte della risorsa idrica grezza (fiumi o falde), nell’acqua che arriva agli impianti di potabilizzazione possono essere presenti inquinanti in forma disciolta, ad esempio i pesticidi agricoli, i cui residui con la pioggia finiscono nei torrenti, oppure i solventi utilizzati in diversi ambiti, come il tetracloroetilene. Per le peculiarità che li contraddistinguono, i filtri a carboni attivi granulari (GAC in una sigla) sono largamente impiegati dai gestori idrici come parte del processo che rende l’acqua potabile, per la drastica riduzione di questi elementi nocivi fino a bassissime concentrazioni, secondo quanto previsto dalla legge.
Non sono usati da soli, ma sono parte integrante di un percorso che prevede altri trattamenti, tra cui la clorazione, la chiariflocculazione e – nel caso dell’acqua dei fontanelli di alta qualità – la disinfezione con raggi ultravioletti. Se da una parte i filtri a carboni attivi sono efficaci contro i principali inquinanti, dall’altra non permettono di eliminare eventuali pericoli batterici, nitrati o metalli pesanti. Per questo la potabilizzazione è composta da diverse fasi e differenti procedimenti che garantiscono acqua del rubinetto buona e sicura, con i valori che possono essere consultati da ogni utente grazie a pochi click sulla cosiddetta “etichetta dell’acqua”.
Quanto dura un filtro
Per funzionare correttamente i filtri a carboni attivi hanno necessità di una manutenzione periodica. In particolare i gestori idrici stabiliscono sostituzioni della massa filtrante, quando la capacità di trattenere molecole inquinanti viene a esaurirsi. Non è possibile dire quanto dura in generale un filtro a carboni attivi, perché la sua “vita” dipende da diversi fattori e dalla frequenza del suo utilizzo. In linea di principio, la stessa cosa vale per i filtri installati a casa, ma ci sono differenze da considerare rispetto a quelli impiegati nell’acquedotto. quali, ad esempio, diverse dimensioni,basti pensare che nell’impianto di potabilizzazione fiorentino dell’Anconella, gestito da Publiacqua, sono presenti ben 14 filtri a carboni attivi a biflusso (ossia con due celle di filtrazione che trattano l’acqua dal basso verso l’alto, upflow, e viceversa, downflow) per una superficie filtrante complessiva di circa 1.800 metri quadrati.

Per controllare la durata dei filtri a carboni attivi, i gestori idrici analizzano costantemente la qualità dell’acqua potabile, in ingresso e in uscita dai filtri, in modo da prevenire il raggiungimento della soglia limite, cambiando i materiali per tempo con prodotti rigenerati o vergini. Se a casa si è montato un filtro a carbone domestico, è necessario attenersi alle indicazioni di manutenzione comunicate dal produttore, e, non potendo effettuare gli stessi controlli analitici effettuati dal gestore del servizio idrico, è necessario non ritardare la sostituzione dei carboni attivi: una volta giunti a completo esaurimento della capacità filtrante, il rischio è che il materiale ormai esausto rilasci sostanze nell’acqua di casa, ottenendo così il risultato contrario. Inoltre bisogna considerare che il carbone è un ottimo substrato per microorganismi anche potenzialmente nocivi, che, nel caso di non corretta manutenzione del filtro, potrebbero proliferare. Tipi particolari di carboni attivi sono usati nelle “cartucce” delle caraffe filtranti, sfruttate in ambito domestico per rendere più gradevole l’acqua potabile dal punto di vista del sapore. Anche in questo caso bisogna rispettare le tempistiche riportate sulle istruzioni del prodotto.
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