In Italia la corsa del cemento e dell’asfalto avanza al ritmo di 2,3 metri quadrati al secondo, con in media 20 ettari di aree naturali perse ogni 24 ore e rese impermeabili, una soglia insostenibile dal punto di vista ambientale. Nel giro di un anno il consumo di suolo nel nostro Paese è aumentato di 72,5 chilometri quadrati e la Toscana, pur essendo per numeri assoluti sotto la media nazionale, dal punto di vista dell’incremento percentuale ha fatto peggio che negli anni passati, agendo anche in territori fragili, dove è presente il maggior pericolo di alluvioni e frane. A dirlo l’ultimo rapporto del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) che ha analizzato i dati del 2023. Secondo le stime, la riduzione “dell’effetto spugna”, ossia la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico, soltanto l’anno scorso è costato al Belpaese oltre 400 milioni di euro.
“Il consumo di suolo è uno dei fattori principali che aggrava il rischio idrogeologico e favorisce le alluvioni, come abbiamo visto in Toscana, Emilia-Romagna e, di recente, nel Sud della Spagna – spiega Giovanni Mastrolonardo, professore associato di Pedologia presso la Scuola di Agraria dell’Università di Firenze -. Quando il terreno è impermeabilizzato la quantità di acqua che rimane in superficie a seguito delle precipitazioni atmosferiche aumenta in media di 5 volte rispetto a un suolo ‘libero’, stiamo parlando di migliaia di tonnellate di acqua a ettaro”. Una situazione acuita dai cambiamenti climatici che stanno causando piogge sempre più violente e concentrate nel tempo, affiancate a lunghi periodi di intense siccità che mettono sotto stress il terreno e lo rendono meno permeabile.
Consumo di suolo e rischio alluvioni
Se guardiamo ai numeri assoluti, la Toscana si pone sotto la media nazionale. Andando però a vedere l’incremento del consumo di suolo (al netto delle zone recuperate e rinaturalizzate) si nota un balzo in avanti del 24% in 12 mesi: se nel 2022 altri 271,92 ettari erano stati occupati da costruzioni e asfalto, nel 2023 questa quota è arrivata a 337,46 ettari. “A livello nazionale si è continuato a consumare suolo a livelli insostenibili, tuttavia il trend è in diminuzione rispetto all’anno precedente, quando si era verificato un picco – osserva Mastrolonardo -. Sotto questo aspetto la Toscana è in controtendenza, registrando un consumo netto di suolo maggiore rispetto all’anno precedente. Un dato che un po’ stupisce e ci deve far riflettere, perché in realtà qui vige una delle leggi urbanistiche più conservative per il suolo”.
Lo stesso rapporto evidenzia come la Toscana sia la regione italiana con più ettari di superficie edificata esposta a rischi, in luoghi di pericolosità sismica, idrogeologica o per frane: 10.518 ettari, circa un terzo delle aree fabbricate. “Non solo continuiamo a consumare suolo ma lo facciamo laddove sappiamo che il territorio è fragile, dove invece dovremmo procedere con la massima prudenza”, aggiunge l’esperto.
“Dobbiamo ripensare le nostre città e limitare il cemento”
E allora come agire? Bisogna partire dai centri urbani, interessati dalle principali cementificazioni e dove sono più evidenti i contraccolpi ambientali e sulla vita delle persone. “Notiamo una cosa: mentre la popolazione decresce, il consumo di suolo continua a crescere, sintomo che qualcosa non sta andando nel verso giusto. Le città come le conosciamo oggi vanno quindi ripensate in modo complessivo: l’Unione europea si è data l’obiettivo di azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050. Come ci si arriva? La prima cosa è interrogarci se davvero le infrastrutture che progettiamo siano indispensabili. Se non se ne può fare a meno, limitare il più possibile l’area interessata, recuperare le zone dove già si è consumato suolo oppure operare lì dove il terreno non è di per sé di buona qualità. In ultima analisi si può compiere un’opera di compensazione, rinaturalizzando altre aree”.
Una strategia per riguadagnare “terra perduta” e ridurre allo stesso tempo i rischi idraulici è il recupero di spazi edificati, rimuovendo gli strati impermeabili e reintroducendo specie arboree e vegetali. “Un processo che può essere costoso ma che porta numerosi benefici legati appunto alla gestione e purificazione dell’acqua nel terreno, all’ambiente, alla biodiversità, allo stoccaggio di carbonio, alla qualità dell’aria e alla qualità di vita dei cittadini. In città un aspetto legato al consumo di suolo è il fenomeno dell’isola di calore: dove c’è un alto tasso di cementificazione e asfalto la temperatura è maggiore di quella registrata in campagna, in media si va dai 3 ai 10 gradi in più. L’acqua presente nel terreno e nella vegetazione ha infatti un effetto refrigerante”.
Depavimentazione contro il consumo di suolo: l’esperienza in Toscana
In Toscana esistono comunque esperienze positive. Prato è una delle poche città italiane in cui si sta sperimentando la depavimentazione, con il recupero a verde di una porzione del parcheggio scambiatore di via Pietro Nenni. Il Dipartimento di Scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali (DAGRI) dell’Università di Firenze, in collaborazione con il Comune, sta studiando le conseguenze della rimozione dell’asfalto per individuare buone pratiche che possano abbattere i costi di queste operazioni, attualmente piuttosto onerose. “Tra gli aspetti che stiamo analizzando il riuso dell’asfalto, fresato a freddo e quindi ridotto in piccole pietre da addizionare al terreno insieme al compost che proviene dalla raccolta differenziata porta a porta, un riattivatore delle funzioni naturali – dice Mastrolonardo -. Infatti, la rimozione e lo smaltimento dell’asfalto possono essere molto costosi: il manto stradale è in genere spesso diversi centimetri e già liberando solo qualche metro quadro di parcheggio si riempie un camion di materiale che deve essere conferito in discarica”.
I ricercatori dell’Università di Firenze hanno prima studiato in un esperimento in vaso gli effetti dell’aggiunta di asfalto frammentato, escludendo il rilascio di metalli pesanti o di altre sostanze pericolose, e poi sono passati alla prova sul campo, testando questa pratica in piccole porzioni del terreno rinaturato. “Il monitoraggio è iniziato nell’aprile 2024 e sta andando avanti. I primi risultati sono incoraggianti per questo progetto che unisce economia circolare e lotta al consumo di suolo”.
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