Una città sotterranea, fatta di gallerie, cunicoli e antichi serbatoi che, per le loro architetture monumentali, sembrano delle vere e proprie “cattedrali dell’acqua”. Sono le tracce rimaste fino ai giorni nostri dell’acquedotto storico di Firenze, inaugurato ufficialmente il 3 giugno 1877 e parzialmente integrato nella rete di distribuzione odierna. Un sistema che per l’epoca rappresentava una soluzione innovativa all’annoso problema dell’approvvigionamento idrico del territorio, che per secoli si è basato esclusivamente su decine di migliaia di pozzi, con carenze igienico-sanitarie non di poco conto.
Certo, l’infrastruttura ottocentesca non risolse completamente la questione, tuttavia costituì un primo approccio integrato, che gettò le basi per lo sviluppo durante il Novecento dell’impianto dell’Anconella, oggi la principale fonte di acqua potabile della piana di Firenze, Prato e Pistoia.
L’acquedotto romano e quello dei Medici
Nella storia della città, l’immagazzinamento e la distribuzione dell’acqua potabile sono sempre stati una sfida molto complessa. I primi a dotare Firenze di un’infrastruttura idrica sono stati i Romani: l’antica Florentia poteva contare su un imponente acquedotto lungo 16 chilometri, edificato in 10 anni, che collegava Monte Morello al centro, sfruttando la pendenza naturale. Dopo la sua dismissione nel V secolo, con solo piccole porzioni rimaste attive, il nucleo urbano per lungo tempo è dipeso da migliaia di piccoli pozzi, disseminati sul territorio, con problemi per la disponibilità e soprattutto per la scarsa qualità delle fonti.
Altri interventi risalgono al Rinascimento. Dalla metà del Cinquecento Cosimo I dei Medici fece costruire l’acquedotto di Montereggi a servizio del Giardino di Boboli, promuovendo inoltre la realizzazione di alcune fontane dentro le mura, come il famoso complesso del Nettuno ideato da Bartolomeo Ammannati in piazza della Signoria. Sotto i Lorenesi vi furono alcuni ampliamenti, ma l’approvvigionamento rimase una questione irrisolta per secoli.
Quando è stato costruito l’acquedotto storico di Firenze
Con l’evoluzione urbanistica e la crescita esponenziale degli abitanti, nell’Ottocento la distribuzione dell’acqua si rivelò totalmente inadeguata a soddisfare i bisogni della popolazione: l’area si trovava in una situazione di carenza idrica cronica e la qualità della risorsa era spesso compromessa dalla contaminazione, dovuta alla vicinanza con gli scarichi fognari e alla scarsa manutenzione delle condutture. Una situazione che facilitò il dilagare di epidemie di colera e tifo.
Proprio in questi anni entrò nel vivo il dibattito sulla costruzione di un acquedotto che potesse dissetare Firenze, con vari tentativi di ricerca di fonti alternative (dal fiume Sieve al Piccolo Reno fino alle sorgenti montane) che però non portarono a risultati concreti, a causa di problematiche tecniche, economiche e gestionali.

Una decisa accelerazione per la modernizzazione cittadina, dalle ferrovie ai mercati fino alle fogne e alla rete idrica, si ebbe con il trasferimento della capitale d’Italia da Torino al capoluogo toscano nel 1865. Dopo vari sforzi e una lunga e accesa discussione, solo tra il 1871 e il 1877, Firenze riuscì a dotarsi di un sistema più moderno ed efficiente, con la nascita di quello che attualmente chiamiamo “acquedotto storico”: la soluzione proposta dagli ingegneri Raffaele Canevari, tecnico di particolare competenza del settore, e da Luigi Del Sarto, direttore dell’Ufficio d’Arte del Comune, rappresentò una svolta nella gestione dell’acqua pubblica.
Come funzionava
La rete progettata da Canevari e Del Sarto si basava sullo sfruttamento delle risorse idriche superficiali dell’Arno tramite una galleria filtrante realizzata sulla sponda sinistra del fiume, dall’Anconella fino alla pescaia di San Niccolò, a 10 metri di profondità per una lunghezza totale di circa 1,5 chilometri. Un’idea già suggerita a suo tempo anche dall’architetto Giuseppe Poggi. Proprio di fronte a Torre San Niccolò si trovava il cuore di tutto l’acquedotto storico di Firenze: la centrale di sollevamento, che per la sua funzione fu soprannominata “Fabbrica dell’acqua”.

Le pompe presenti in questa officina idraulica, azionate sia dalla forza del fiume Arno sia da macchine a vapore, spingevano l’acqua nelle condutture e nei serbatoi di accumulo, mentre quella usata per azionare le turbine veniva riemessa nel fiume tramite un canale murato sotto i lungarni Serristori e Torrigiani. Oggi della Fabbrica dell’acqua resta ben poco. Soppiantata a metà del Novecento dall’impianto dell’Anconella, la struttura principale è stata demolita nel 1963, per lasciare spazio a un giardino pubblico, nell’area che adesso è conosciuta come Terrazza Marasco. Proprio in questo luogo è in fase di costruzione una moderna centrale idroelettrica.
I serbatoi dell’acquedotto storico di Firenze
I lavori per erigere lo stabilimento partirono nel 1873 per concludersi tre anni dopo, quando il Comune diede il via alla costruzione di due grandi cisterne in aree periferiche, poste a una quota altimetrica di circa 30 metri, dove veniva pompata l’acqua potabile: il serbatoio della Carraia, con una capienzadi 13.500 metri cubi, realizzato in via dell’Erta Canina sopra il quartiere di San Niccolò, e quello del Pellegrino da 19.300 metri cubi, in via Bolognese. A queste si affiancò il serbatoio della Querce, già parte dell’infrastruttura medicea, che fu ampliato fino a poter immagazzinare 4.800 metri cubi.

Questi depositi di accumulo – ancora oggi in funzione e caratterizzati da architetture monumentali che fanno riferimento al Rinascimento – servivano per la tenuta a pressione. Da qui il viaggio continuava a caduta fino alle case e alle botteghe dei fiorentini, ma anche verso gli apparati di irrigazione dei parchi e dei giardini.
Per portare le condutture dalla riva sinistra a quella destra inoltre furono create due gallerie gemelle sotto il letto dell’Arno, all’altezza della pescaia di San Niccolò, ricalcando un antico camminamento sotterraneo utilizzato dai soldati per spostarsi dalla Torre di San Niccolò a quella della Zecca. Uno dei tunnel permetteva alle tubature in pressione di raggiungere l’altro versante del fiume, mentre il secondo passaggio sotterraneo fu progettato per portare alla centrale di sollevamento l’eventuale risorsa captata sulla riva destra, funzione per cui non fu mai effettivamente usata.

Il tema dello sviluppo dell’acquedotto storico è stato di recente al centro di ricerche del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze (DIDA) ed è descritto anche nel libro Acqua, cultura tecnica e sviluppo urbano. Raffaele Canevari, Luigi Del Sarto e il nuovo acquedotto di Firenze (1871-1877), curato da Alessio Caporali, professore di Storia dell’Architettura, e parte della collana “I Volumi della Qualità” di Publiacqua. Una pubblicazione che è possibile scaricare gratuitamente compilando il form online.
Verso il potabilizzatore dell’Anconella
Il passaggio dall’acquedotto storico di Firenze a quello moderno è avvenuto durante il secolo scorso. Il tassello iniziale è stata la creazione, nel 1911, del primo impianto dell’Anconella che impiegava la tecnica della filtrazione lenta attraverso letti di sabbia, a cui si sono aggiunti nel 1929 i pozzi di Mantignano (link all’articolo su Mantignano). La moderna infrastruttura di potabilizzazione dell’Anconella (link centrale di spinta) prese forma dagli anni Cinquanta in poi, con una serie di graduali potenziamenti, per arrivare alla sua piena efficienza con la messa in funzione dell’invaso artificiale di Bilancino.
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