“Giardini della pioggia” con suolo anti-allagamento. Tetti verdi che trattengono le precipitazioni per non sovraccaricare la rete fognaria. “Città spugna” dotate di serbatoi sotterranei e di infrastrutture per potenziare la “ritenzione idrica” dei grandi centri abitati. Sono alcune delle idee verdi studiate a livello internazionale per fronteggiare il rischio di alluvioni urbane e di flash flood, inondazioni lampo caratterizzate da rovesci molto intensi, concentrati in un breve lasso di tempo e in uno spazio molto circoscritto, come una città o addirittura un singolo quartiere.
Le cronache degli ultimi anni sono piene di casi del genere. Dall’ondata di fango che ha investito Grassina, frazione di Bagno a Ripoli (Firenze), nell’agosto scorso, al ciclone mediterraneo che interessò Livorno nel 2017 provocando 8 morti, solo per citare due episodi toscani. “I cambiamenti climatici stanno causando l’aumento della frequenza e l’incremento dell’intensità di eventi meteorologici estremi. Al contempo le nostre città sono fragili, poiché caratterizzate da una forte urbanizzazione e da un uso del suolo che ha alterato il naturale equilibrio idrologico, riducendo la permeabilità delle superfici e dunque incrementando i deflussi superficiali”, fa notare Enrica Caporali, professoressa del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICEA) dell’Università degli Studi di Firenze.
Alluvioni urbane e cementificazione
I climatologi lo dicono da tempo. Dobbiamo abituarci a fenomeni atmosferici violenti e improvvisi, che non sono più l’eccezione, bensì la regola. Secondo i dati dell’osservatorio nazionale Cittàclima di Legambiente, la Toscana negli ultimi dieci anni è risultata sesta in Italia per numero di eventi meteorologici estremi. Le città devono quindi attrezzarsi per mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici. “Possiamo distinguere due tipi di alluvioni – precisa Caporali – quelle fluviali, che avvengono in prossimità di un corso d’acqua, e quelle pluviali, che invece si possono verificare in qualsiasi zona urbana dove ci sia una rete di drenaggio. Le alluvioni improvvise, pluvial flood e flash flood, sono particolarmente critiche per il reticolo fognario, che non riesce a garantire il deflusso di quantità così grandi di acqua caduta in un lasso di tempo breve, e impattano in modo rilevante sul reticolo minore, il sistema di piccoli corsi d’acqua come torrenti e fossi, che nelle città sono spesso tombati”.
Mutazioni climatiche, cementificazione e antropizzazione creano quindi la “tempesta perfetta” per i centri urbani. In un ambiente naturale infatti la circolazione dell’acqua è garantita dal normale ciclo idrologico, dunque dall’evaporazione, dalle successive precipitazioni che poi penetrano nel terreno ricaricando le falde, oltre che dall’assorbimento e dalla traspirazione assicurata dalle piante. Lo sviluppo urbano rompe questo equilibrio, perché il cemento e l’asfalto rendono il suolo più impermeabile e la pioggia, invece di essere assorbita, scorre in superficie per poi riversarsi nei fiumi. Secondo le stime, in un contesto altamente urbanizzato la possibilità dell’acqua di filtrare nel sottosuolo diminuisce di ben il 70% rispetto a un ambiente selvaggio.
“Soluzioni spugna” contro le alluvioni lampo e la siccità
È necessario quindi individuare nuove strategie per la riduzione dell’impatto di eventi meteorologici estremi e di alluvioni urbane. “Ci sono quelle che potremmo chiamare ‘soluzioni grigie’, ossia la classica raccolta dei deflussi superficiali in fognature miste o separate – spiega la professoressa Caporali -. Da sole queste infrastrutture, progettate e realizzate spesso decenni fa prendendo in considerazione regimi pluviometrici molto diversi dagli attuali a seguito anche del cambiamento climatico, non risultano più funzionali. È però impraticabile la ricostruzione delle reti fognarie esistenti, tuttavia è possibile integrare i vecchi sistemi con soluzioni di drenaggio urbano sostenibile e di immagazzinamento della risorsa idrica. In inglese sono chiamate anche nature based solutions (NBS) perché, appunto, sono soluzioni che si basano sulla natura”.
Implementare la permeabilità del terreno, immagazzinare l’acqua, ridurre la pressione sul sistema fognario: sono queste le finalità principali. “Le soluzioni di drenaggio urbano sostenibile sono numerose, a partire dall’uso di piante e di tipi specifici di suolo nelle aiuole, nei parchi e negli spartitraffico, per quelli che gli anglosassoni chiamano rain gardens, giardini della pioggia. Ci sono poi canali vegetati che possono affiancare le strade, tetti verdi o tetti giardino, ossia rivestimenti vegetali delle coperture degli edifici, e aree di bioritenzione, piccole zone di accumulo diffuse in città che si possono creare perfino nei cortili esterni dei condomini. La pavimentazione degli stessi parcheggi all’aperto può essere realizzata con materiali altamente filtranti”.
Gli studi internazionali, nati in Cina una ventina di anni fa, puntano poi sul modello della sponge city, città-spugna capace di immagazzinare grande quantità di acqua, anche grazie a depositi sotterranei, per poi riusare la risorsa accumulata. Soluzioni che offrono vantaggi su più fronti, non solo per la prevenzione delle alluvioni urbane, fa notare Enrica Caporali, ma anche nell’ambito del contrasto delle siccità, sempre più frequenti e intense. “Aumentano la permeabilità idrica dei sistemi urbani, allo stesso tempo portano un riequilibrio del bilancio idrologico, consentono il ricarico delle falde, sviluppano la biodiversità e mitigano l’immissione di inquinanti nei fiumi”.
Firenze e le alluvioni urbane. Gli studi
Firenze è stata al centro di due progetti di ricerca, di cui è stata responsabile la professoressa Caporali del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Firenze. Con il progetto “Florence” sono state analizzate, tra le altre cose, le possibili soluzioni “basate sulla natura” per un’area del Quartiere 5 di Firenze, dai canali vegetati ai giardini della pioggia, mentre il progetto “Talete”, nell’ambito della tutela del patrimonio culturale da eventi meteorologici estremi, ha messo sotto la lente di ingrandimento il quartiere di Santa Croce, zona depressa del centro storico che proprio per le sue caratteristiche peculiari fu la più colpita dall’alluvione del 1966.
“È chiaro che le Nature Based Solutions sono difficilmente applicabili in contesti tutelati dal punto di vista culturale e paesaggistico. In questi casi però è possibile utilizzare infrastrutture nascoste che esistono già – osserva Caporali – . Le antiche corti cittadine ad esempio possono a volte ‘celare’ vasche di accumulo idrico nel sottosuolo. Per Santa Croce l’esempio è il pozzo presente nel chiostro del Brunelleschi: sotto sembra ci sia una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana che potrebbe fungere da serbatoio di raccolta delle acque di drenaggio in eccesso. I primi passi potrebbero riguardare proprio la mappatura di questi manufatti e un monitoraggio del loro stato di conservazione”.
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