Per scongiurare il rischio una nuova siccità in Toscana saranno cruciali i tre mesi primaverili, che dovranno portare piogge e mettere al sicuro le scorte idriche in vista dell’estate 2023: a fare il punto della situazione è Bernardo Gozzini, responsabile del Consorzio Lamma. Due primavere consecutive a secco di precipitazioni rischiano di essere devastanti per agricoltura, industria e approvvigionamento potabile. L’anno scorso, il più caldo dell’ultimo trentennio con un’anomalia superiore al grado rispetto alla media 1991-2020, ha lasciato una pesante eredità. “Nella nostra regione il 2022 si è chiuso con un deficit pluviometrico di circa il 13% in meno, con grandi differenze a seconda dei territori – spiega Gozzini -. Sul Nord Ovest, tra cui le Alpi Apuane, che di solito sono la zona più piovosa d’Europa, le precipitazioni si sono ridotte del 30% rispetto alla media, mentre nella parte Centro meridionale, dove generalmente piove meno, si sono registrati maggiori cumulati”.
I cambiamenti climatici stanno modificando le carte del gioco: siccità ed eventi meteo estremi sono due facce della stessa medaglia, fa notare. “Purtroppo dobbiamo abituarci a fenomeni siccitosi ricorrenti e sempre più forti e persistenti. Dal 2000 in poi abbiamo osservato che sul nostro territorio si ripetono all’incirca ogni 5 anni: 2003, 2007, 2011, 2017, infine il 2022”. L’onda lunga della siccità influisce però sui periodi successivi, come sta succedendo in questo primo scorcio del 2023, provocando un pericoloso effetto domino.
La situazione della siccità in Toscana all’inizio del 2023
In Toscana il nuovo anno si è aperto infatti tra luci e ombre, per chi è abituato a studiare i modelli meteorologici: un gennaio più piovoso rispetto alla media, con il ritorno della neve sull’Appennino, ha lasciato poi posto a un febbraio secco. Al momento gli invasi di Bilancino e Montedoglio sono già a un buon livello di riempimento, la crisi idrica non è forte come quella che si sta registrando nel Nord Italia, tuttavia lo scenario futuro non lascia tranquilli.
“In questo quadro sarà importante vedere l’andamento di marzo, aprile e maggio, tre mesi che di norma sono molto piovosi: per recuperare il deficit idrico dovrebbe piovere ancora di più”, chiarisce il responsabile del Lamma. Al momento le previsioni stagionali del Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale segnalano per la primavera e l’estate precipitazioni nella norma. Già questa sarebbe una prima buona notizia, ma le previsioni di lungo periodo scontano ancora un ampio grado di incertezza e i cambiamenti climatici stanno causando repentini mutazioni delle condizioni, difficili da prevedere.
Pioggia sì, ma “buona”
Un ottobre caldissimo con ben 2 gradi in più rispetto alle medie, il bacino del Serchio – che di solito è un sorvegliato speciale per le alluvioni – ridotto al minimo storico, una siccità prolungata per mesi e la temperatura del mare che a fine giugno ha sfiorato i 5 gradi in più rispetto alla norma. Il 2022, dice il Lamma, è stato un anno estremo, come probabilmente potrà succedere nuovamente nel futuro. Gli esperti considerano il Mediterraneo un “hot spot” del cambiamento climatico, dove l’impatto di questi mutamenti è più evidente. Non solo aumenta la temperatura dell’aria, ma anche l’evaporazione. “Nell’atmosfera più è calda una massa d’aria più vapor d’acqua può contenere. Con l’evaporazione – spiega Bernardo Gozzini – c’è un cambio di stato e quindi un passaggio di energia. Energia e vapore si accumulano nell’atmosfera. Il sistema tende all’equilibrio e quindi deve scaricare in qualche modo questo surplus, così si generano fenomeni meteo violenti”.
Al momento servirebbe il ritorno della pioggia: rovesci sì, ma buoni. “Per ricaricare le falde acquifere sarebbero necessarie precipitazioni diffuse e costanti intorno ai 10-20 millimetri al giorno con bassa intensità per un periodo piuttosto prolungato, almeno 45/50 giorni – chiarisce l’esperto -. Al contrario, i temporali violenti, con importanti cumulati concentrati in poco tempo e in zone localizzate creano danni e non penetrano nel terreno”. Il pensiero va all’alluvione nelle Marche dello scorso settembre, quando su Senigallia in 5-6 ore è caduta la quantità di pioggia che generalmente si registra in 3-4 mesi. “Quantità di questo tipo, oltre a provocare enormi danni e a causare drammatiche perdite umane, finiscono nei fiumi e poi in mare. Non hanno il tempo di ricaricare le falde e non siamo in grado di trattenere e immagazzinare una così grande massa d’acqua”.
Come difendere la Toscana dalla siccità
La sfida del cambiamento climatico è senza dubbio la gestione della risorsa idrica, dice Gozzini, a fronte di siccità cicliche e ricorrenti, come stiamo osservando tra il 2022 e il 2023 anche in Toscana. “In questi anni abbiamo compreso come gestire in modo migliore le riserve, penso ad esempio ai bacini artificiali o agli investimenti che i gestori del servizio idrico stanno facendo per ridurre le perdite della rete idrica. Adesso è necessario imparare a trattenere quell’acqua che sempre più frequentemente arriva in grandi quantità e in poco tempo”. Proprio in Toscana, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, con il progetto Life Rewat, sta studiando l’impiego di nuove tecnologie per la ricarica delle falde acquifere nella bassa Val di Cornia, area in cui l’agricoltura soffre sempre più la sete.
Accanto a un sistema di invasi e piccoli laghetti si guarda inoltre al sottosuolo, perché “l’acqua sotterranea è un serbatoio protetto che non risente dell’aumento delle temperature e del conseguente incremento dell’evaporazione”, precisa il responsabile del Lamma. A livello internazionale si studiano poi aree di bioritenzione da introdurre nei centri urbani: aiuole, coperture “green” degli edifici, superfici verdi con specifici terreni che aumentano la permeabilità del suolo. Gli esperti parlano di sponge cities, “città spugna” che grazie a queste infrastrutture sostenibili riescono ad evitare allagamenti nel caso di alluvioni improvvise e allo stesso tempo a immagazzinare l’acqua piovana in serbatoi naturali.
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