Nonostante le piogge dell’inverno 2023-2024 abbiano traghettato buona parte dell’Italia fuori dalla situazione di emergenza idrica, non bisogna abbassare la guardia sulla siccità, un fenomeno amplificato dal cambiamento climatico. Già nell’immediato futuro, dicono gli esperti, torneranno ciclicamente lunghe fasi secche e prive di precipitazioni con una frequenza maggiore rispetto al passato, accompagnate da un mutamento dell’andamento delle piogge.
L’aumento delle temperature sta causando un ribaltamento di paradigma, soprattutto nel bacino del Mediterraneo, lì dove le conseguenze del surriscaldamento globale sono più evidenti, spiega Ramona Magno, coordinatrice scientifica dell’Osservatorio Siccità del CNR-IBE, l’Istituto per la BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. “Sempre più spesso eventi siccitosi, che si prolungano anche per uno o due anni consecutivi, si alternano a periodi con precipitazioni concentrate sia nel tempo sia nello spazio, che faticano a ricaricare le falde sotterranee”. Insomma, serve una strategia di lungo periodo per preservare un bene molto prezioso: l’acqua.
La situazione della siccità in Italia e in Toscana all’inizio del 2024
Dopo la grande siccità che ha investito in particolare il Nord Italia, a partire dalla metà del 2021 con strascichi fino al 2023, le piogge autunnali e invernali hanno consentito di recuperare il deficit idrico, dicono i dati dell’Osservatorio Siccità del CNR-IBE che arrivano fino ai primi dieci giorni di marzo 2024. Se guardiamo al lungo periodo restano però alcune criticità tra il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia e fra il basso Piemonte e la Liguria. La zona in sofferenza è adesso quella del Meridione, dalla Basilicata alla Puglia, dalla Calabria alla Sicilia, regione in cui l’emergenza per la siccità ha fatto scattare lo stato di allerta in sei province per l’approvvigionamento idrico, con il rischio di razionamento dell’acqua potabile.
In Toscana va molto meglio, sebbene con situazioni diverse sul territorio: nel Centro-Nord della regione le piogge degli ultimi mesi hanno permesso di mantenere una situazione nella norma o di surplus, mentre a Sud, le precipitazioni sono state più scarse e, dalla costa livornese al grossetano, i livelli delle falde sono più bassi,anche se in ripresa. In questo quadro, l’IBE-CNR evidenzia come, per effetto del cambiamento climatico, le siccità siano diventate frequenti anche in Toscana, in particolare dal 2001 in poi gli eventi di questo genere si ripetono in media ogni 3-4 anni.
Come il cambiamento climatico impatta su neve e falde acquifere
A finire sotto la lente di ingrandimento sono in particolare le riserve sotterranee di acqua, quelle che soffrono maggiormente le siccità acuite dal cambiamento climatico. “Le falde hanno bisogno di tempo per ricaricarsi per via dell’acqua che deve infiltrarsi nel terreno pian piano, ad esempio attraverso lo scioglimento primaverile della neve – osserva Ramona Magno -. In Piemonte e nel veronese, ad esempio, attualmente i livelli delle falde sono ancora sotto la media”. La speranza è che la colonnina di mercurio non giochi brutti scherzi in quota, permettendo alla neve che è tornata a cadere sull’arco alpino tra fine febbraio e inizio marzo, dopo tre anni di fiocchi scarsissimi, di fondersi lentamente e penetrare nel suolo. “I dati della CIMA Research Foundation ci dicono che fino all’8 di marzo in Italia avevamo circa il 30% in meno di equivalente idrico nivale (l’acqua contenuta nella neve). Se andiamo a vedere il dettaglio, il deficit si abbassa al 10% per i monti che alimentano il bacino del Po e al 33% per l’Adige, mentre registra un picco dell’82% in meno per la zona dell’Appennino che riguarda il Tevere”.
La siccità è legata ad altri fenomeni, che tendono a rinforzarsi a vicenda, chiarisce la ricercatrice. “Non solo c’è una scarsità di precipitazioni, che interessano sempre più spesso l’autunno e l’inverno, ma anche le temperature ci mettono lo zampino, battendo record su record. Il mese di febbraio 2024 ad esempio è indicato dai colleghi dell’ISAC-CNR come quello più caldo mai registrato in Italia dal 1800, lo scorso inverno è stato il secondo più caldo degli ultimi 220 anni. L’incremento delle temperature impatta inoltre sul fenomeno dell’evapotraspirazione, dunque quella poca acqua che cade tende a evaporare più facilmente e a disseccare i terreni, incidendo a sua volta sulla capacità delle piogge di infiltrasi nel suolo”.
Come fronteggiare siccità e cambiamento climatico
Siccità cicliche, intense e durature, e precipitazioni forti e concentrate in poche settimane o addirittura ore possono spianare la strada a gravi alluvioni, come successo di recente in Toscana. “Queste problematiche sono di lungo corso, andranno progressivamente a peggiorare – sottolinea Ramona Magno – intaccando diversi settori dell’economia, dall’agricoltura all’approvvigionamento potabile. Per la resilienza climatica è necessario agire su diversi fronti con un approccio organico”.
La creazione di grossi bacini e piccoli invasi, afferma l’esperta, è una soluzione per immagazzinare acqua, tuttavia non è l’unica. “La prima cosa da fare, realizzabile in tempi brevi, è ripristinare i bacini che già esistono, la cui capacità si è ridotta nel corso degli anni per il fenomeno naturale dell’accumulo dei sedimenti. A tutto ciò – prosegue – bisogna aggiungere altre azioni per favorire l’accumulo di acqua nelle falde: limitare l’urbanizzazione che rende il suolo impermeabile; applicare metodologie per far tornare fertile e dunque permeabile il terreno grazie alla rinaturazione; puntare sull’agricoltura di precisione per diminuire il fabbisogno di questo settore altamente idrovoro; impiegare colture che necessitano di quantità minori di acqua. E poi investire sul risparmio idrico, come la riduzione delle perdite e il potenziamento del riuso delle acque reflue depurate. Gli effetti del cambiamento climatico, dalla siccità al caldo, sono ormai evidenti, sta a noi adattarci”.
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